Possiamo cercare di intravvedere in una tecnologa al suo esordio , le stimmate di un percorso iscritto nel libro di Fortuna?
Ogni tecnologia porta in sè il suo disastro, dice il filosofo Jean Baudrillard. Dunque porta con se anche il suo destino, dico io, e in quel destino si iscrive la sua storia. Quale sarà il destino della Blockchain? Oggi la sua prima giovinezza è circonfusa del dorato vapore dell’Hype, come altre prima di lei vive il suo turno sotto i riflettori, e pare destinata a rimanerci.
Ne parliamo perché da poco abbiamo concluso il terzo appuntamento del nostro progetto sull’etica digitale, dove ci stiamo inoltrando con attenzione.
Già, perché qui siamo su un terreno sdrucciolevole, trattando le tecnologie come i soggetti di una categoria dello spirito che nessuno mai ha pensato di applicare a qualcosa al di fuori dell’umanita, ed oggi addirittura stiamo pensando di applicarla all’immateriale.
Nel nostro trattare l’argomento, affrontiamo più o meno consapevolmente l’etica come se fosse un valore assoluto. Una volta deciso cosa sia, (fatto non del tutto se non per nulla condiviso e chiarito nella pur piccola comunità che di queste pratiche esoteriche fa la sua professione) o c’è, o non c’è.
E’etico o non è etico.
Si può adottare qualunque logica sfumata, o approfondire l’apprendimento ma alla fine, si tratta di dover scegliere.
Però l’etica non è un imperativo categorico, ma cambia e si modifica a seconda delle culture e dei tempi, e si intreccia indissolubilmente con lo spirito del tempo che vede etica e morale uscire a spasso insieme.
Anche senza viaggiare nel tempo, basta spostarsi di qualche parallelo più a est di Greenwich per constatare come cambia.
Tornando dunque nell’ambito dell’immateriale, potremmo introdurre l’idea che l’etica sia una variabile, un elemento non solo mutevole ma anche reversibile, che segue morale e politica, e può tornare sui suoi passi.
Nella Blokchain, la sua natura di registro immutabile e lineare non permette spazio per apportare continue variazioni, è fatta perché non ci siano. Tutto si scrive all’interno di un principio di realtà che vuole essere (non può essere altro) che immutabile, non reversibile, pena la perdita della sua ragion essere.
La Blockchain è un sistema di notazione irreversibile. Ciò che è scritto, è.
Cosa c’è di meno etico? Ovviamente ci possono essere degli errori, e dunque non è esente da correzioni, ma l’errore non rientra nella valutazione sulla tecnologia che vogliamo esplorare con l’etica, non ci riguarda il suo funzionamento “interno”, quanto piuttosto la sua necessità per noi utilizzatori “qua fuori”.
Possiamo credere in quello che è scritto nel registro? Possiamo veramente fidarci?
per valutare se nella blockchain è scritta la verità o meno (se il dato proviene dalla realtà “fuori” dalla blockchain) si rende così necessario un Oracolo (viene convenzionalmente definito così, ed è bizzarro: si sa che gli oracoli dicono cose ambiguissime), ovvero una terza parte confermata, un valutatore terzo che scioglie le contraddizioni.
Ma là dove l’aiuto dell’Oracolo si rende necessario (un po’ come quando gli dei antichi si intromettevano nel mondo degli uomini, dando un aiuto qua e là), questo avviene in barba al primo degli assiomi della blockchain: il superamento dell’intermediazione.
Dunque se il principio di realtà su cui si basa la blockchain entra contraddizione con una diversa verità, l’Oracolo diventa inevitabile.
La verità ha il brutto vizio di essere estremamente complessa, di essere facilmente incompresa, di essere terribilmente sfuggente.
Per questo la gente, non potendo impazzire dietro la verità, se ne crea una tutta sua, la modifica a suo uso e consumo, la addomestica. Da qui il maledetto/benedetto bias cognitivo, che la blockchain molto probabilmente non riuscirà a eliminare del tutto, ma forse neppure in parte.
Per dirla tutta, dunque, il destino della blockchain non è quello di darci l’algoritmo della verità, ci sarebbe piaciuto, ma temo che dovremmo abbandonare questa liaison dangereuse fra realtà e verità.
Da questo ragionamento derivo due considerazioni.
Da una parte l’etica come principio e come variabile non è intrinseca alla blockchain. Dunque a mio parere la domanda se sia etica o meno, è falsa.
Dall’altra la presenza necessaria dell’Oracolo è inevitabile ne processi che coinvolgono le attività umane.
Quello che possiamo però fare, è affidare all’Oracolo le facoltà etiche necessarie a mantenere coerente il più possibile il rapporto fra realtà e verità.
Ma chi sono gli Oracoli? Che ruolo e che potete potranno esercitare? Quanto e come potranno intervenire per modificare una verità?
Nella blockchain quando avviene una “anomalia” (potremmo definirla una distorsione della realta’ che crea una variabile), esiste una Code Authority inappellabile, normalmente e il proprietario del codice, che interviene modificando la realta’, ovvero il registro della blockchain.
Questo avviene ed avverrà sempre fra lacerazioni e conflitti.
Questo credo sia inevitabile e personalmente credo anche auspicabile in quanto non possiamo e non dovremmo mai demandare la responsabilità delle nostre azioni alle macchine. l’innovazione è un processo tutto umano e nostra è la responsabilità deve sue applicazioni, nel bene e nel male.
Ma è possibile, e come, governare il processo dell’ innovazione che porta una tecnologia? quando è ancora possibile intervenire per orientarla in una direzione a variarne il destino? Mica pizza e fichi.
La risposta a tale domanda è complessa, e non avrete qui la risposta, hic et nunc alla questione della nostra blockchain. Ho però una indicazione che ci viene indicata dal lavoro della Fondazione Bassetti, che da lungo tempo cammina sul difficile crinale fra etica e responsabilità.
Nel loro studio Responsibility driven design for the future self-driving society in cui esplorano il tema della mobilità nella complessità della società futura, si interrogano sin da subito sul dilemma di Collingridge:
“Quando il cambiamento è ancora facile non ne comprendiamo la necessità. Quando il bisogno di un cambiamento è evidente, è ormai difficile e costoso introdurlo.
Il dilemma è stato tradotto in una matrice dove le due curve disegnate rappresentano la variabile invertita fra controllo e prevedibilità che muta nel tempo di adozione di una tecnologia.
qui si può identificare un “posizionamento di Collingridge”, ovvero il momento in cui i responsabili politici, designer e gli innovatori possono calibrare il loro intervento, secondo il grado di diffusione di una certa tecnologia per modificarne lo sviluppo, renderla più probabile e ridurre l’incertezza. In effetti, realizzare l’improbabile e, se vogliamo rimanere nella nostra metafora, cambiarne il destino.
Da questo traggo la mia conclusione, ricollegandomi alla blockchain.
In nessun caso una tecnologia è intrinsecamente etica. Dunque potremo dotarle di capacità predittive e intelligenza quanto vogliamo, ma non possiamo nè dobbiamo demandare alle tecnologie la responsabilità del loro di divenire. Questa è nostra responsabilità, di noialtri umani, almeno per un bel pezzo. Poi si vedrà.
da questo derivano due indicazioni operative su cui ragionare perche una tecnologia possa essere governata da principi etici:
1. una tecnologia etica deve poter esser disegnata in una matrice di Collingridge.
2. una tecnologia etica deve esse disegnata in modo da essere programmata a momenti di reversibilità o di sospensione del suo processo e soggetta alla autorità umana.
In conclusione, niente di nuovo sotto il sole. Nulla di quello di cui ci stiamo oggi arrovellando a capire non c’era anche ai tempi di Esopo (e anche prima) e che non sia stato rappresentato in un mito o in un archetipo di una qualche cultura che sia. Quello che cambia è che mano a mano l’umanità sviluppa le sue tecnologie, le mitologie che ci guidano da millenni diventano realtà, o quantomeno ci somigliano molto.
Sarà giusto?