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Cosa avviene nel momento in cui cambiamo identità? E’ un momento alchemico che richiede una dose di disagio e disconnessione affinché il piccolo miracolo avvenga: è una liturgia necessaria, altrimenti l’esperienza si riduce ad un meccanicismo. Universo e metaverso: la poetica ci sostiene.


il momento dell'embodiment in un avatar ha necessità di essere vissuta come una liturgia, con attenzione
Nell’immagine, da sinistra verso destra: NemoX, “Dove sono”, AI Art, 2024, The Extended Hall in Spatial. Maurizio Cattelan, “Senza titolo”, 2002, Museum Boijmans Van Beuningen, Rotterdam.

Il concetto di identità sta mutando ad alta velocità. Non siamo più vincolati a un’unica identità del mondo fisico (ma anche in questo ambito la modernità è divenuta molto permissiva sull’essere “molteplici”), bensì possiamo esprimerci attraverso molteplici personaggi nei diversi “universi” In cui siamo attivi. L’embodiment, questo preciso passaggio che possiamo definire di “mutazione” ha una caratteristica peculiare e cioè: per entrare in una nuova dimensione identitaria è necessaria una operazione poetica. Se questo processo alchemico non avviene tutto si riduce ad un banale copia e incolla della realtà fisica, diventa cioè uno sterile PDF della trascendenza; per poi evolvere, nelle sue moltiplicazioni, diventando mero loop.

Se quello tra universo e metaverso ci appare come un viaggio metapsichico, è chiaro che questo viaggio conduce con sé inevitabilmente momenti di confusione e disconnessione: lo straniamento (dalla parola russa остранение ‘allontanamento’, certamente questo termine ha avuto una enorme impatto a partire dal XX secolo sino ad oggi in ogni ambito della produzione artistica. Arte, per l’appunto.) è, come affermava il critico formalista Viktor Šklovskij nel saggio “L’arte come procedimento”, un artificio che ha lo scopo di far uscire il lettore “dall’automatismo della percezione”. Se tutto avviene senza alcuna emozione, facciamoci delle domande: ridiamo senso alle nostre esperienze.
 

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