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Si parla sempre di più della necessità di profili umanistici a supporto di un progresso tecnologico che troppo spesso “piange” per la povertà cognitiva e la mancata visione composita. A incontrare Giuseppe, beh, ho avuto la sensazione di “respirare un po’ meglio”. Qui di seguito una serie di considerazioni e le sue risposte.


L’antropologia, a differenza di altre discipline, offre una visione complessa del mondo partendo dalle relazioni che generano mondi. Le alterità non sono solo differenze superficiali, ma vere dimensioni culturali, anche “ontologie”. La digitalizzazione ha permesso la creazione di nuove forme identitarie, favorendo una “ubiquità identitaria”, modulabile e frammentaria. L’antropologia può ricostruire la complessità analizzando le micro-realtà che formano i “pluriversi”. Oggi, la creatività e il “pensiero selvaggio” sono essenziali per vivere nel digitale, poiché ci permettono di sfuggire ai vincoli algoritmici e meccanici, creando nuovi mondi significativi. Il digitale ha potenziato questa capacità umana, distinguendoci dalla macchina. L’intelligenza artificiale non potrà mai sviluppare un pensiero selvaggio, caratteristica unica dell’uomo. Giuseppe adotta una visione tecnoumanista, focalizzandosi sulle pratiche di significazione culturale attraverso la tecnologia. Lévi-Strauss, pur essendo stato “scavalcato”, rimane attuale, e la sua teoria, in particolare quella di Eduardo Viveiros de Castro, continua a influenzare l’antropologia, studiando l’alterità come possibilità di essere un mondo significante.

A questo proposito, il libro Antropologia del Design di G. Mazzarino e G. Scandurra si inserisce in un dibattito che esplora l’intersezione tra antropologia e design. Gli studi antropologici hanno da sempre dato grande importanza alla cultura materiale, agli artefatti e al loro ruolo sociale, ma meno attenzione è stata rivolta alla progettazione come fenomeno socioculturale. Oggi, con l’aumento dell’interesse del design verso temi antropologici, l’antropologia è chiamata a riflettere sulla dimensione progettuale del fare umano. Il libro si propone di aprire un dialogo tra queste due discipline, offrendo cornici teoriche e osservazioni metodologiche che puntano a inaugurare nuovi percorsi didattici e ad ampliare la ricerca in questo campo emergente.

Ho incontrato Giuseppe Mazzarino, Antropologo e fondatore di “Pensiero Selvaggio” ed ecco la breve intervista che ne è scaturita.

In che modo pensi che l’antropologia possa essere di aiuto nella complessità odierna?

L’antropologia ha la capacità, a differenza di altre discipline umanistiche e impegnate in studi socio-culturali, di restituire una visione del mondo e della complessità partendo dalle relazioni che creano mondi. Le alterità sono viste non solo come opposizioni o differenze superficiali, ma sono “prese sul serio”, ovvero pensate come vere e proprie dimensioni culturali, se non addirittura vere e proprie “ontologie”. Il mondo contemporanea, anche grazie alla digitalizzazione che ha permesso la rottura di confini e barriere spazio-temporali, ha allargato le possibilità di relazione e creato nuove forme identitarie prima impossibili. Ha portato l’uomo a poter sviluppare un’ubiquità identitaria, modulabile e frammentaria. L’antropologia oggi può aiutare a ricostruire il quadro della complessità partendo proprio dall’analisi capillare delle micro-realtà che compongono il mosaico dei nostri “pluriversi”. 

Pensiero Selvaggio: perchè ne abbiamo bisogno?

Secondo me, abbiamo assoluto bisogno di un ritorno al pensiero selvaggio, ovvero quella dimensione creativa del nostro “fare cultura” che si traduce nella nostra capacità di costruire nuovi mondi significanti a partire da “segni già esistenti” da frame imposti. Vivere nel digitale significherebbe rispettare dei parametri algoritmici, meccanici o tecnici che orientano il nostro modo di agire nel digitale… abbiamo però potuto vedere come grazie alla capacità creativa di svincolarci da questo sistema di pensiero meccanico si è stati in grado di creare veri e propri fenomeni proprio dall’azione “selvaggia”, indisciplinata e imprevedibile di usare creativamente ciò che il sistema meccanico e algoritmico ci ha offerto. Il digitale ha portato a uno sviluppo maggiore di questa nostra capacità e un pensiero selvaggio è la caratteristica che ci distinguerà per sempre dalla macchina. Se pensiamo alla classica domanda: “L’intelligenza artificiale sarà in grado di superare l’uomo?” la risposta sarà: “NO. perchè l’intelligenza artificiale non potrà mai essere un pensiero selvaggio!”. 

Hai una visione tecnoumanista della cultura?

Non sono bravo a etichettare le cose. Credo di avere una visione tecnoumanista nella misura in cui per “umanista” intendiamo un’attenzione sulle pratiche di produzione di significazione e di cultura attraverso l’uso della tecnologia. 

Riguardo lo sviluppo del pensiero di Levi, quale parte è rimasta di particolare attualità? 

Lévi-Strauss è un autore che, ad un certo punto della storia della disciplina, è stato “scavalcato” e non “superato”. Il suo pensiero è sempre rimasto di estrema attualità, considerando il fatto che il suo spessore teorico è stato frainteso, per certi versi. La sua etichetta di “strutturalista” ha portato molti suoi testi ad essere presi meno in considerazione dalla comunità scientifica. In questo periodo ci sono autori che si sentono di proporre teoriche in continuità con LS. Penso in particolare a Eduardo Viveiros de Castro, che cerca di riprendere e allargare alcune prospettive di LV per puntare allo studio dell’antropologia come disciplina che studia l’alterità in quanto possibilità di essere mondo significante e non scarto differenziale. 

Giuseppe Mazzarino PhD

Docente a contratto in Antropologia della Comunicazione
Laurea Magistrale in Design della comunicazione
Politecnico di Milano

Docente a contratto in Antropologia dei Media
Università di Milano Bicocca – Dipartimento di Scienze umane per la Formazione “Riccardo Massa

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