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Parte I – Cronaca di una esposizione d’arte in un mondo virtuale sociale

Mi sento in dovere di fare una precisazione per i lettori che per la prima volta si imbatto nelle tematiche dell’esposizione d’arte nei mondi virtuali, altrimenti chiamati oggi Metaversi. Sia la cronaca di questo allestimento virtuale che le successive riflessioni, sono adattabili a qualunque metaverso, con i dovuti distinguo.
I temi trattati riguardano fondamentalmente, il rapporto fra spazio, ambiente, opera e pubblico, la tecnologia gioca un ruolo importante, ma non è determinante. Quello su cui si concentra il focus di questo lavoro è piuttosto la dimensione sociale nella quale l’esposizione virtuale si pone nei confronti delle comunità che la visitano.

La presenza in giardino presuppone la mente nuda e il corpo esposto.
Solo così è possibile arrischiare il Sogno.
Gilles Clement, Giardini, paesaggio e genio naturale. 2013 Quodlibet


L’allestimento di una esposizione d’arte in un mondo virtuale è sempre una scommessa d’equilibrio.
Ambiguo e instabile è il confine fra realtà e virtualità, la soglia che separa i due mondi entro il quale si gioca la partita fra una realtà plausibile che ci permette di riconoscere il mondo digitale coerente e conseguente con la realtà che abbiamo lasciato e la virtualità che ci apre la porta verso nuove esperienze spaziali.
Ma questa dualità è solo la più evidente delle dialettiche che ci troviamo ad affrontare quando ci poniamo il problema di come realizzarla.

Dobbiamo anche equilibrare il rapporto percettivo e visivo del fruitore rispetto all’opera e al contesto spaziale in cui si pone, tenendo conto del particolare punto di vista dello sguardo dell’avatar, e infine non ultimo l’equilibrio emotivo fra lo spazio che la contiene e l’opera che lo occupa, in modo che vengano percepiti in armonia, dove l’uno non prevalga sull’altra.
Per il curatore e l’organizzatore non c’è che una scelta: dove sbagliare senza fare troppi danni? Perché l’equilibrio perfetto fra le parti è una vera missione impossibile, soprattutto quando, come nel nostro caso, ci si imponga l’ulteriore sfida di porre l’esposizione in una comunità e un territorio strutturato, in un tessuto sociale già ricco di sfumature ed interessi come Second Norway. (nota1)

Quello che vi proponiamo in questo articolo, è la cronaca dell’allestimento di “In Real in World In Art Fra realtà, virtualità e AI generative. (2008/ 2024)” dedicata alla prima avanguardia di artisti giunti nel Nuovo Mondo digitale ponendo le basi di una “via dell’arte del Metaverso” che oggi vanta artisti nativi di grande rilievo. Nella mostra vengono presentate opere di otto artisti di quella generazione: Gazira Babeli, Tina Bey, Fau Ferdinand, Sarima Giha, Mexi Lane, Marco Manray, Patrick Moya , Bryn Oh. Sono artisti del mondo reale che nei mondi virtuali sociali hanno maturato una sensibilità e un originale percorso estetico e tecnico che hanno poi riportato nel mondo reale.

Il Team

La pianificazione dell’evento ha visto uno staff che ha affrontato l’allestimento da discipline e visioni diverse. Sei persone hanno lavorato per la progettazione e la realizzazione del progetto espositivo, dell’allestimento e della comunicazione.

la curatela delle opere e degli artisti è stata affidata alla competenza di Rosanna Galvani, Aka Roxelo Babenco, curatrice e fondatrice del Museo del Metaverso, che sin dai primi anni della piattaforma segue la scena artistica di Second Life internazionale e italiana. La scelta fondamentale degli artisti è stata sua competenza, e in questo è stata utile la conoscenza personale di molti degli artisti emergenti nei primi anni di formazione della società di Second Life.

La realizzazione delle strutture espositive è stata affidata a Dario Buratti, aka Colpo Wexler, che ha una lunghissima esperienza nella realizzazione di edifici e spazi commerciali e culturali, a cui ha applicato idee e stilemi propri che rendono immediatamente riconoscibili le sue realizzazioni, dove all’invenzione si unisce una profonda sensibilità spaziale dovuta ad una continua e ininterrotta ricerca estetica nativa.

La realizzazione del design del paesaggio è il terzo componente del progetto. L’ambiente naturale, o meglio, la sua rappresentazione è a pieno titolo parte fondamentale dell’esperienza vissuta in Second Life, un ambiente che non è un fondale, una rappresentazione statica e accessoria, ma territorio, ambiente, luogo dove vivere.

Questo compito fondamentale è stato affidato inizialmente a Melissa Lowtide, che nella regione di Second Norway ha già realizzato in passato numerose terraformazioni ma che per motivi personali non ha potuto portare a termine il lavoro, e il suo testimone è passato a Marina Bellini Aka Mexi Lane, scenografa, artista di grande gusto e sensibilità che ha portato a termine quello che forse è il compito più difficile, prendendosi un carico di lavoro notevole e proponendo una soluzione equilibrata, realizzata con grande stile e gusto paesaggistico.

A queste attitudini creative si è aggiunto il mio personale apporto organizzativo, maturato in tanti anni di lavoro progettuale in ambito di cultura e arte digitale all’interno di Second Life e nella vita reale. Ho sempre avuto un interesse verso gli aspetti delle relazioni e della società digitale, e questo mi ha portato a articolare e approfondire il rapporto fra Persona e Avatar, sia attraverso le esperienze personali sia intrecciando relazioni umane e professionali, sino a maturare un metodo di relazione e ascolto, che è molto utile in tutte le attività di management e moderazione nella Comunicazione Mediata da Computer CMC (*) .
Completa il profilo delle professionalità coinvolte L’insostituibile pratica competenza di modellazione e scripting che in tante situazioni logistiche, di allestimento e messa in opera ci ha tolto dai guai di Marco Rabino alias Rubin Mayo che ha svolto il ruolo essenziale di facility manager dei tanti e complessi processi necessari alla realizzazione del progetto.

il concept

Progettualmente abbiamo avuto sin dall’allestimento di precedenti mostre sempre realizzate in Second Norway necessità di definire quale fosse l’allestimento più coerente e consono a circoscrivere e valorizzare le opere degli artisti nell’ambiente espositivo all’interno della regione, un territorio digitale che ha caratteristiche proprie consolidate e regolate, con specifiche destinazioni d’uso, sia residenziali che commerciali, una definita policy ambientale e vincoli che normano le caratteristiche delle costruzioni.

Sin da subito ci siamo posti questioni fondamentali per il nostro progetto espositivo virtuale.
come si inserisce l’opera di un artista all’interno di un paesaggio che è esso stesso opera di una creatività? Sono state espresse molte perplessità su questo tema, sia da parte di curatori sia da parte degli artisti stessi. Il dissenso si concentrava su due argomenti concreti: da una parte l’integrazione, dall’altra la coerenza.
Spesso gli artisti immateriali, liberi dai vincoli della fisica, realizzano opere che per dimensioni, ingombri e forma sono decisamente “fuori scala” rispetto alle policy ambientali di Second Norway, che prevedono un legame di verosimiglianza con la realtà.
Altre volte si tratta della materia stessa con cui vengono rappresentate, come ad esempio opere performative basate su effetti luminosi o su particolati animati. Soprattutto questi ultimi, in fase di allestimento sono stati un problema serio.
In entrambi i casi, ci sono problemi di coerenza nell’allestimento e di conseguenza nella sua fruizione. Si può inserire un’opera galleggiante e senza peso in un ambito di simulazione naturale? quale piedistallo, quale gancio può sostenerla? Quale può essere il percorso narrativo, il contesto in cui è possibile inserire l’opera senza snaturarla o, peggio, farle perdere di senso?
È dunque necessario operare al contrario, ovvero disegnare una realtà ambientale ed espositiva attorno all’opera d’arte, che ne assuma le caratteristiche, assorba per mimesi il suo senso?
Non è forse meglio per l’artista e lo spettatore avere uno spazio di libertà illimitato, il cui unico confine è la creatività? Un contenitore flessibile e configurabile a piacimento? Non esiste un’unica soluzione.

Per dare una risposta a queste domande abbiamo dovuto disciplinare il pensiero e l’azione conseguente verso argomenti diversi dalla espressione della creatività.
Per prima cosa bisogna ammettere la necessità del vincolo.
Nel nostro caso, il vincolo paesaggistico della verosimiglianza naturale del territorio in cui operiamo, che rientra a pieno titolo sia nel concetto di sostenibilità che nel rispetto delle risorse disponibili (nota 2), non ultimi i problemi logistici e ambientali che nella realtà sono determinanti.
Successivamente abbiamo ammesso come una responsabilità etica imprescindibile, la funzione sociale e culturale dell’arte nella società che ci ospita e di cui facciamo parte.
L’arte non è solo un bell’ornamento, può e deve anche esserlo, ma è anche soprattutto espressione originale e viva della società che la genera. È la sua memoria, la sua storia e il suo sguardo sul mondo, sguardo che va restituito alla gente che qui vi abita.
Per questo abbiamo escluso innanzitutto la creazione di uno stabile contenitore delle opere, pareti a cui appendere, stanze da riempire.
Conseguenza di questo pensiero è stata l’idea di realizzare un giardino pubblico d’arte, un luogo dove territorio e arte si uniscano a creare un paesaggio conviviale, un posto dove stare bene, dove trovare sempre nuove identità creative, nuovi artefici di questo mondo.
Personalmente, trovo questi vincoli estremamente stimolanti.
A mio giudizio, si tratta di punti di forza, sui quali vale la pena di impegnarsi.

l’esecuzione

Per realizzare questo progetto abbiamo deciso di operare in tre tempi successivi.
Il primo tempo ha previsto che ogni artista, presa visione del terreno su cui sarebbe sorta l’installazione, decidesse dove mettere le sue opere in mostra.
Questa modalità proponeva due limiti: L’uso, dove possibile, degli elementi naturali (alberi, rocce) presenti nello spazio della mostra come elemento espositivo o come perimetro dello spazio del singolo autore, e un posizionamento congruo rispetto alle opere vicine, in modo da non interferire fra loro.
Per questo scopo abbiamo indetto una call for action in incontrare gli artisti e definire insieme le caratteristiche espositive. A loro il compito di selezionare una propria opera per la mostra e il suo posizionamento

Il secondo tempo ha visto la messa in opera della struttura aperta che avrebbe accolto e protetto le opere e i visitatori.
La proposta di Dario Buratti si è basata su due elementi architettonici che caratterizzavano lo spazio espositivo in sintonia con il tema che accomuna tutti i paesaggi di Second Norway: la presenza del mare.
Il primo elemento è un percorso realizzato con un pagliolato nautico che richiama sia i ponti delle imbarcazioni che nel suo andamento sinuoso le tracce di un giardino Zen. Il percorso si sviluppa ad anello, congiungendo idealmente tutte le opere disposte sul terreno.
Il secondo elemento caratterizzante è un’alta vela, un gonfio spinnaker sorretto da un grande albero situato al centro dell’aere espositiva che getta un gioco di luci e ombre sulle opere sottostanti, completato da due piccole velature che, come fiocchi, ornano il fronte a mare con la banchina in pietra. Il risultato finale è un veliero d’arte visibile sia dalle isole vicine che dalla strada che porta al vicino villaggio di Kalvoya.

Il terzo tempo è stato dedicato al design del paesaggio. In questo caso la natura gioca il ruolo delle pareti e delle finestrature, aprendo o chiudendo lo sguardo con quinte di essenze e piante ad alto fusto che separano i volumi fra gli spazi dedicati agli artisti. Ovviamente tutto l’apparato vegetale è coerente con l’ambiente circostante, anzi: La qualità dei modelli vegetali è molto alta, fanno parte delle ultime generazioni di oggetti la cui cura del dettaglio sovrasta di parecchio i modelli di vegetazione generalmente in uso negli spazi pubblici e possiamo dire senza essere smentiti che anche questa è a sua volta arte.
A completare il paesaggio la cura dei piccoli dettagli, dall’arredo composto da semplici ma deliziose panchine in legno (lo stesso del paiolato) all’infografica, alle strutture di sostegno delle opere.
Tutto vuole concorrere ad armonizzare arte e paesaggio.
L’insieme combinato delle tre fasi ha trovato infine una sua sintesi, perfettibile, ma che crediamo efficace e soprattutto in linea con i principi che ci siamo posti al momento del concept.

La restituzione

La destinazione d’uso di uno spazio tanto ibrido, inclassificabile nelle convenzionali caselle né del giardino né della galleria è un problema e una risorsa, sfida che abbiamo deciso di raccogliere ma che ancora ha da essere ben ponderata.
Il nostro primo intento è quello di ribadire la funzione pubblica del giardino, luogo senza ingressi e senza pareti che non racchiude ma contiene in se l’esperienza d’arte a cui tutti possono accedere.
Assolta questa che è la sua funzione primaria,
Abbiamo la necessità di riempirlo di contenuti che abbiano valore per i residenti che qui vi abitano.

Vogliamo che qui si creino incontri. Occasionali o meditati, poco importa.
Sarebbe per noi fonte di grande soddisfazione se qui una coppia di innamorati si desse appuntamento, o che qui si incontrassero passeggeri distratti in transito per una sosta. Che il giardino diventi un luogo di serendipity!
Vogliamo che qui ci si diverta. Che si balli fra le opere, con le opere. Vogliamo che il giardino si animi di musica e che si scambi per performance la danza e la danza per performance.
Vogliamo che qui si incontrino artisti e curatori per discutere sul futuro dell’arte e degli artisti, vogliamo partenariati tra gallerie per scambi di location e artisti, qui e nel mondo al di là dello specchio. E che qui si faccia arte, arte viva, che agisca sulla nostra realtà che la modifichi e l’anticipi, un’arte che sappia dire cosa verrà.

Parte II – Riflessioni sul ruolo dell’arte nella società e nella cultura di Second life.

All’inizio di questa cronaca, abbiamo detto che L’allestimento di una esposizione d’arte in un mondo virtuale è sempre una scommessa d’equilibrio.

Non è stato sempre facile.  Siamo più volti passati e ripassati sul nostro operato limando, cambiando e anche stravolgendo parti del progetto.
Ci siamo trovati più volte a confrontaci con gli artisti, per questioni inerenti la posizione, la visibilità e l’accessibilità delle opere, ma è soprattutto con problemi culturali con le autorità e i residenti che ci siamo confrontati.
L’evoluzione della società ha comportato molti cambiamenti nella popolazione di Second Life. Ai ricercatori pionieri sperimentatori e nomadi, si sono succedute diverse altre generazioni di residenti e se da una parte è andata spegnendosi la freschezza di quei giorni sperimentali, dall’altra è andata maturando e diversificando il ruolo dell’arte al suo interno.

Se agli esordi di questa società tutto era azione, scoperta di una libertà creativa che faceva dell’intero mondo una gioiosa sandbox dove tutto o quasi era ammissibile e possibile, con lo stratificarsi dei ruoli sociali, con l’incanalarsi della creatività verso interessi economici e produttivi che hanno determinato il successo di questo modello societario virtuale creando una solida economia di piattaforma, anche l’arte espressa è andata ritualizzandosi verso forme che si sono allontanate dall’ origine.
Così alcune pratiche performative di un’arte provocatoria praticata dagli artisti nei primi anni duemila, non sono più universalmente accettate, non sono più intese come arte ma come forme di disturbo e prevaricazione fini a se stesse.

Anche noi ci siamo trovati ad affrontare un attrito fra le libertà della gioventù con le esigenze della maturità di questa società.
L’artista Gazira Babeli è riconosciuto come uno degli interpreti della scena artistica degli esordi soprattutto per le sue “incursioni” performative, un’arte di provocazione che diventava evento nell’evento. Gazira non è più attivo da molto in Second Life, ed è un onore averlo nostro ospite. Le sue piogge di oggetti iconici, banane, punti di domanda, Supermario, esplodono improvvisi come geyser d’arte riempiendo lo spazio tutto attorno. Ma questa forma di performance nel tempo si è inquinata per l’opera di griefer (**) che utilizzavano gli stessi metodi corsari ma per fini diversi di puro boicottaggio.
Da questo deriva l’insofferenza verso queste forme di espressione, viste soprattutto in un’area residenziale come quella dove sorge il giardino.
Così abbiamo avuto la visita della sicurezza che ci ha intimato di smettere la pioggia generata dagli script di Gazira, cancellandoli senza preavviso e bannando la curatrice, pur per pochi minuti, rea inconsapevole (in quanto proprietaria degli script incriminati) di quella azione vista da noi come performance artistica e dall’autorità come reato.
Pur considerando la reazione forse un po’ troppo brusca nella forma, è innegabile che nella sostanza l’autorità ha agito lecitamente nella salvaguardia dei diritti dei residenti e nel rispetto delle policy dei Linden.
Nonostante questo imprevisto, non abbiamo voluto privare il nostro pubblico di questa esperienza originale e lo abbiamo risolto trasferendola in una località privata e lontana da chiunque potesse risentirsi.

Come valutare il fatto? Una censura? conformismo?
Come si sia evoluta (o involuta, dipende dai punti di vista) l’arte di Second Life non è l’obbiettivo di questa riflessione.
Ribadiamo: Second life è un unicum tecnologo e sociale. Qui gli artisti ci vivono, non solo ci operano. Qui il creator è parte di una élite riconosciuta, che ricopre un ruolo sociale fondamentale.
Dunque, l’arte di Second life è principalmente rivolta ai suoi abitanti.
È dentro che si svolge e si spiega. È parte di una cultura orgogliosa della propria autonomia e resilienza, ne segue in tutto e per tutto la sua storia.

Con l’evoluzione di nuove piattaforme non è detto che si evolvano altri nuclei sociali residenti e resilienti. Al momento per quanto ne sappia, non sembra vi siano in altre piattaforme né i requisiti né la visione per realizzarla.
L’extended reality (***), categoria concettuale nella quale stiamo facendo convergere tutte le esperienze spaziali potrebbe però aprire la strada alla stessa consapevolezza creativa che ha permesso in Second Life la crescita autonoma e originale di un’arte espressione di una società originale e autonoma. O forse diversamente farà da ponte verso nuove ed inesplorate culture digitali.

Così mi sono domandato che valore dare all’esperienza espositiva virtuale oggi qui in Second life ma anche altrove, e se questa esperienza fosse esportabile e integrabile nella dimensione della realtà. E che ruolo potesse svolgere.

Parte III – Riflessioni sulle pratiche e espositive virtuali in relazione alle esposizioni reali

Vedo principalmente tre ambiti nella quale l’esperienza di un allestimento in un mondo virtuale possa essere di utilità e originalità.

La prototipazione

Attualmente l’allestimento di una mostra virtuale deriva generalmente da necessita di comunicazione e visibilità mediatica. Dove esiste una progettualità che la prevede, questa si situa rispetto all’ “originale” nella più parte dei casi come aspetto derivato, ancillare, una riproposizione nel Metaverso dell’esperienza reale.
Ma uno degli aspetti più interessanti della flessibilità digitale è di fatto ignorata: l’elaborazione, sin dalle fasi progettuali, della prototipazione dell’allestimento.
Se in architettura la modellizzazione e il rendering assolvono alla funzione di rendere visibile spazialmente il progetto, la virtualità permette non solo di assolvere alle stesse funzione ma può fare molto di più.
Possiamo prevedere due interessanti aspetti.
Il primo è la prototipizzazione dell’esperienza del visitatore. Possiamo studiare “dal vivo” sin dalla sua concettualizzazione, un modello esperienziale della visita.
Il secondo è l’opportunità di usufruire delle comunità locali come strumento di co-creazione, sia guidata che spontanea, per la realizzazione di destinazioni d’uso o soluzioni creative a problemi risolti con il” pensiero laterale” collettivo.
Abbiamo già sperimentato in passato come la creatività diffusa generi soluzioni inusuali spesso di grande efficacia. (nota 3)

L’espansione

Se la prototipizzazione virtuale è pratica remota nella progettualità delle esposizioni reali, è più facile ipotizzare l’espansione Immateriale dell’esposizione reale.
Attenzione: qui non parliamo della riproposizione, più o meno equivalente nel virtuale del reale, ma piuttosto di un suo ampliamento dove il percorso intrapreso nel reale si espande e si ingrandisce nel virtuale.

Ci possono essere almeno due tipologie di espansione.
La prima è l’espansione fisica dello spazio originario della realtà verso piani virtuali.
È un prolungamento del percorso espositivo con nuovi apporti degli artisti presenti nella esposizione reale, nuove opere e una diversa disposizione più consona agli spazi virtuali che permettono una dislocazione svincolata dalla fisicità. Il rapporto fra spazio e opera nel virtuale, come ho già accennato più sopra, ci permette di definire a piacere il percorso espositivo, relazionando le opere e gli spazi in modalità e in sequenza diverse da quelle imposte dalla realtà fisica.
La seconda espansione prevede l’integrazione del percorso espositivo con opere e artisti nativi; dunque, con apporti che nella realtà non si sarebbero potuti allestire, non solo per motivi logistici. In questo caso l’espansione va nella direzione di portare l’esposizione verso percorsi ulteriori, aumentati da arte immateriale, accomunati da un unico progetto espositivo.

La delocazione

la delocazione, ovvero lo spostamento della esposizione nello spazio virtuale ha come intrinseca opportunità quella di prolungare nel tempo la vita dell’esposizione fisica. Possiamo ben dire che il cyber spazio si presta ad essere una forma di archivio completamente nuovo, ancora tutto da esplorare nelle sue potenzialità conservative, dato che al momento non esiste né un metodo né una pratica Archivistica virtuale. La possibilità di conservare integre gli allestimenti e le opere pongono problemi inediti.

Prima di tutto gli aspetti etici inerenti cosa si intenda per patrimonio culturale digitale e dunque cosa sia meritevole di conservazione e in che modo conservarlo per mantenere vivo e attivo lo spirito dell’allestimento, dunque, dell’esperienza culturale e sociale sia di chi l’ha creata sia di chi l’ha vissuta.
Non si tratta quindi di “imbalsamare” e classificare opere e spazi ma di proteggere dall’estinzione il senso e le caratteristiche vitali dell’esposizione nel suo ecosistema culturale.

Volendo conservare la vita e il senso dell’esperienza non possiamo che porre l’allestimento in un ambiente digitale sociale e dunque all’interno di un habitat culturale che preveda la convivenza nel medesimo spazio di istanze culturali molteplici, diverse e interagenti. Non è sufficiente creare uno spazio isolato e autonomo per tenere viva l’esperienza, che non vive in sé, ma solo grazie al continuo ripetersi e collidere di esperienze individuali che diventano col tempo esperienze collettive. La realtà si scrive nella memoria. (nota 4)

Internazionalizzazione

la internazionalizzazione è la seconda delle opportunità della delocazione dello spazio espositivo nel virtuale. Il colossale balzo quantico compiuto dalla cultura mondiale nell’era di internet è avvenuto anche perché la distanza non era più un problema, l’ipertesto (argomento centrale nel dibattito culturale del tempo di cui si è persa traccia) ha permesso una contiguità dei contenuti così rapida e immediata tale da consentire la loro visibilità ad un pubblico molto più vasto sia dal punto di vista dei numeri che della qualità. Il Teleport l’omologo ipertestuale del cyber spazio (nota 5), permette la medesima velocità di spostamento all’interno del metaverso in cui si situa lo spazio espositivo. Qui va però va ricordato che a differenza dell’internet che ha creato le basi della libertà di circolazione sulla neutralità della tecnologia rispetto ai contenuti, nel Metaverso o, meglio, nei Metaversi questo non sta avvenendo perché in questo caso le tecnologie si conformano sui contenuti e sugli interessi delle comunità che li vivono. Dunque, la scelta del metaverso culturale in cui mettere l’esposizione è determinante per la sua visibilità.
Per quanto sia immateriale, un territorio ha i suoi confini.

l’immersività ibrida e Il “Digital Spélaion”

abbiamo più volte vissuto l’ibridazione fra spazi espositivi reali e virtuali. Il passaggio della delocazione, benché ancora non diffusissimo è nel radar di enti e istituzioni. In parte questo avviene grazie alle esperienze immersive digitali che sempre più artisti utilizzano per le loro performance, che spessissimo sono per il pubblico dei musei e delle esposizioni il primo approccio alle tecnologie digitali dell’extended reality, l’ampio concetto che rappresenta l’insieme di tutte le possibili sfumature dell’interazione tra ambiente reale e ambiente grafico tridimensionale.
L’esperienza immersiva associata all’esposizione è un fatto abbastanza assodato per i visitatori, che percepiscono l’esperienza del visore come un fatto pubblico, collettivo, partecipato, che situa il visore tra gli strumenti dell’esposizione esattamente come monitor e proiettori.

In questa nostra riflessione affrontiamo dunque L’immersività non sotto l’aspetto artistico e percettivo, ma propriamente come fatto espositivo vissuto all’interno di “stanze immersive” dedicate a questo tipo di esperienza.
Sono spazi attrezzati con proiezioni a 360° in projection mapping , adeguatamente illuminate e spaziose per poter ospitare anche installazioni materiali e/o immateriali in extended reality.
Per questi spazi Possiamo ipotizzare due tipologie di allestimento

Proiettivo

la prima vede il prolungamento spaziale della Stanza immersiva verso ulteriori spazi virtuali dove prosegue l’allestimento. Questi spazi possono essere come il proseguimento di quello fisico, attuando una illusione ottica simile ad un trompe l’oeil ma dinamico e interattivo.
Il grado di realismo, spaziale di queste proiezioni può variare notevolmente, dalla completa contiguità con gli spazi reali alla creazione di spazi immaginari posti al di fuori dal pattern espositivo vissuto dai visitatori sino a quel momento, dove il grado di spettacolarità e interazione dipenderà dai dispositivi e dai sensori utilizzati ma anche e soprattutto da una regia sapiente della mise en scene virtuale.

performativo

La seconda vede il potenziamento dell’allestimento proiettivo nella direzione della performance, intesa, come esperienza del pubblico coinvolto in una azione in tempo reale dal vivo. Questo può avvenire in modalità via via più sofisticate, a seconda del grado di interattiva che si vuole ottenere.
Possiamo ad esempio condividere un’esperienza non solo con il pubblico presente, ma contemporaneamente anche con quello presente nel mondo virtuale. Possiamo condividere una visita, l’incontro con un artista, un party.
Da questo punto di partenza possiamo anche creare ad hoc azioni performative dal vivo più complesse e articolate, la cui drammaturgia e spettacolarizzazione è amplissima: dal concerto alla coreografia, dal talk show all’azione teatrale.
La socialità dei mondi virtuali è una risorsa e una opportunità di assoluto interesse che va potenziata e integrata oltre che negli aspetti espositivo anche nelle strategie di comunicazione.
(Nota 6) .

Warmhole

Rimane un ulteriore aspetto che interessa le potenzialità delle esposizioni che riguarda la contiguità di spazi virtuali. Ogni Immersive Room è potenzialmente un “warmhole” verso spazi virtuali di altre realtà espositive.
Il ciberspazio permette in modo altrettanto immediato l’ipertestualità, la possibilità di salti spaziali, di teletrasporto da uno spazio virtuale all’altro, sia all’interno della medesima piattaforma che (teoricamente) in altre. Rimanendo nell’ambito della prima possibilità, possiamo ipotizzare come una forma rizomatica sia possibile, dove ogni immersive room possa essere un nodo che congiunga un network di spazi fisici collegati da forme espositive di delocalizzazione digitale. Una offerta espositiva globale che permetta la circolazione di nuove forme di fruizione dell’arte.

il passo successivo specularmente più affascinante dell’esperienza ibrida di una Immersive Room e è quello della creazione combinata di proiezione, immersività olografica XR e IA Generativa che ci permetta la creazione di Digital Spélaion, grotta dei misteri eleuisini digitali, dove rappresentare l’impossibile e il plausibile, quello che altrimenti è prefigurata dalla fantascienza di Star Treck con il nome di Ponte Ologrammi.(***)

In conclusione, Uno spazio immersivo ibrido deviceless è una soluzione che permette un’ampia “area di contatto” fra spazi reali e virtuali .
È nella immersività come esperienza collettiva infatti che vediamo forse uno degli aspetti più interessanti, dal punto di vista dell’esposizione per il “traghettamento” dei visitatori verso l’accesso alla virtualità non più collettiva dagli spazi pubblici, cosa che ricalca di fatto il modello esperienziale localizzato “in presenza”, ma individuale, verso l’accesso remoto, “comunque e dovunque” ( attraverso il display di qualunque “classico” dispositivo, dai PC ai cellulari e a numeroso software disponibile) che è parallelamente e diversamente dall’immersività, il fine della realtà virtuale intesa come paradigma spaziale “altro”, disgiunto e alternativo alla realtà. Il Mondo al di là dello specchio di Alice.


Note

Nota 1
Seconda Norvegia è una regione storica di Second Life che riunì la comunità scandinava quando il legame culturale e linguistico tra “le due sponde dello specchio” era ancora forte. Ora che Second Life ha consolidato la sua cultura specifica, le identità nazionali sono meno importanti. Second Norway è oggi vissuto da una cultura cosmopolita, che si riconosce nel suo stile di vita, nella sua socialità, nella sua estetica unica nel metaverso, sia per la storia che c’è alle spalle che per la visione del futuro.

Nota 2
Come tutti gli ecosistemi anche quello digitale ha esternalità e limiti di sostenibilità che oggi ci paiono inesauribili, proprio come le risorse naturali parevano agli occhi dei nostri predecessori, ma è necessario sin da oggi, prevedere i limiti e l’esaurimento dell’infosfera terrestre.

Nota 3
Nel 2010 partecipammo ad un progetto di Milano Metropoli agenzia del territorio. Si trattava di immaginare un progetto per la riqualificazione territoriale di un’area ex industriale della città di Milano. Quattro studi urbanistici erano coinvolti nella ricostruzione. Ad ognuno era stata affidata un’are di Second life dove rappresentare la loro proposta da presentare alle istituzioni. Finito il suo compito formale, le aree vennero lasciate aperte al pubblico. Fu lì il suo momento più creativo. Le comunità presero possesso dei territori per le loro attività, confermando in alcuni casi Le destinazioni d’uso progettate dagli studi, e in altri casi reinventandoli completamente. Il risultato fu uno straordinario laboratorio di urbanistica bottom-up, che avrebbe potuto dare molti consigli all’ammistrazione pubblica e agli addetti ai lavori, che non ne fecero però seguito.

Nota 4
Il concetto di immersività ha la stessa potenza simbolica dell’ipertesto nel tempo de web.
Ipertestualità e Immersività sono omologhi tecnologici ma anche concettuali. È necessario, sia per onestà intellettuale che per ragioni pratiche, saper distinguere i due ambiti dell’immersività e comunicarli correttamente. Ridurre il Metaverso alla sola immersività tecnologica è una pura pratica commerciale speculativa.

Nota 5
Un esempio interessante di ecosistema culturale che si configura come territorio, è Gaeta V, uno dei continenti centrali di Second Life. Qui si col tempo (Second life ha compiuto quest’anno 21 anni di esistenza) si sono stratificati gli immaginari paesaggistici e architettonici dei residenti che nel tempo si sono succeduti. La, dove non sono stati sostituiti o cancellati, rimangono edifici e strutture realizzate con gli stili e le tecnologie utilizzabili al tempo della loro costruzione che coesistono con tutti gli stili e modelli culturali successivi.

Ricordiamoci che vent’anni in termini di tecnologia sono secoli, e che fortunatamente lo strato tecnologico di base in Second Life non è cambiato, permettendo a oggetti modellati e scriptati oltre un decennio fa di funzionare perfettamente.

Nota 6
Proprio in ragione della sua resiliente società, Second life è una economia di piattaforma fiorente che produce intensi scambi commerciali e culturali di beni e servizi tra i suoi residenti, sia all’interno del mondo virtuale che ne nell’insieme dell’infosfera dei media. Parallelamente alle attività dei mercati reali, anche i prodotti dei mercati immateriali comunica attraverso le piattaforme sociali e il web.

Letture

Mi stavo approcciandoad una bibliografia puntuale, ma subito mi sono reso conto che stava diventando via via più complessa e colossale. Dunque per comprendere il fenomeno del rapporto fra arti performative e tecnologia e tra arti visite e spazio, mi limito a proporre due letture, inestimabili fari di luminosa intelligenza e intuizione da cui è possibile comprendere il resto e intraprendere il proprio viaggio intellettuale sotto la loro luce intermittente.

Brenda Laurel, Computers as Theatre – Addison-Wesley, 1991

Giuliana Bruno, L’Atlante delle emozioni, Bruno Mondadori, 2006

Glossario

Comunicazione Mediata da Computer CMC

Griefer

Extended Reality

Ponte Ologrammi

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