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Metaverse Plan for (market) Outer Space

Il metaverso è l’aprirsi di una nuova prateria di mercati? È un nuovo media che si va ad aggiungere alla panoplia dei canali sociali esistenti? Sicuramente è entrambe le cose e nessuna delle due. Sono composti da beni di consumo di puro desiderio, sono fatti della stessa materia dei sogni, anche se si pagano come merci reali.

Riflessioni pubblicate sul sito della Fondazione Giannino Bassetti il 8-10-2024


Le piattaforme non riflettono il sociale: producono le strutture sociali in cui viviamo.
José van Dijck, Thomas Poell, Martijn de Waal, The Platform Society, Oxford University Press, 2018

La “tecnologia delle comunicazioni” è la chiave del processo economico e politico, in quanto determina le coordinate spazio-temporali della società: le forme di organizzazione, la distribuzione del potere tra i gruppi, i tipi di conoscenza accumulata dal popolo.
Harold Innis, Empire and Communications, University of Toronto Press, 1950

Photo by Melusina Parkin

Viviamo oggi il rapido susseguirsi di ondate di innovazione. Una dopo l’altra arrivano a noi e come onde contro gli scogli si infrangono rumorosamente per poi rapidamente defluire, lasciandosi dietro di sé deboli tracce del loro passaggio o le rovine di uno tsunami.

Questa rapidità non permette spesso di comprendere la portata di fenomeni che sono sì tecnologici, ma anche e sempre di più sociali e culturali. Con la conseguenza che le tecnologie e gli utenti che le utilizzano si “inabissino” in un territorio carsico, sotterraneo. Lontani della luce mediatica, ritirati in una nicchia, gli utenti hanno il tempo di sviluppare e di approfondire l’uso di queste tecnologie, esplorandone in profondità e con creatività le potenzialità.

Ciò accade da circa un ventennio con le tecnologie che oggi definiamo del metaverso che, a mio parere, rappresentano l’apice di una traiettoria iniziata con l’avvento del web sociale e che nella tridimensionalità trovano la loro forma più sofisticata e complessa, dove l’identità prende forma in un’ambiente grafico virtuale. L’avatar è il centro di questa rivoluzione.

Questo cambio di paradigma è avvenuto e ha preso consistenza nel 2006/2007, generando un fenomeno di massa: i Mondi Virtuali. Nel tempo, dopo l’eclissi della loro parabola durata un quinquennio abbondante oltre l’“orizzonte degli eventi” mediatici, hanno proseguito sotterranei sino all’annuncio potentemente mediatico dato da Mark Zuckerberg nel 2021 che li ha rilanciati sotto i riflettori, facendoli riemergere in superfice, dandogli nuovo impulso evolutivo e risvegliando l’interesse delle imprese.

Ma il metaverso è l’aprirsi di una nuova prateria di mercati? È un nuovo media che si va ad aggiungere alla panoplia dei canali sociali esistenti? Sicuramente è entrambe le cose e nessuna delle due.

Le considerazioni che espongo a riguardo derivano da una attività maturata in tanti anni di lavoro progettuale nell’ambito della cultura e dell’arte digitale all’interno dei Mondi Virtuali e nella vita reale. Ho sempre avuto un interesse verso gli aspetti relazionali della società digitale, e questo mi ha portato ad articolare e approfondire il rapporto fra Persona e Avatar, sia attraverso le esperienze personali sia intrecciando relazioni umane e professionali, sino a maturare un metodo di relazione e ascolto, che è molto utile in tutte le attività di management e moderazione nella Comunicazione Mediata da Computer (CMC).

Esperienze nei mondi virtuali sociali, ora chiamati metaversi, diversi per tipologia e tecnologia, che per reputarsi tali devono avere una base sociale: devono essere principalmente popolati di relazioni e interessi, di persone coi loro desideri, desideri da conoscere, intercettare e soddisfare.

Photo by Melusina Parkin

Mercati concreti di prodotti immateriali

Il metaverso tratta di mercati che originano nuovi prodotti, dettati da nuove esigenze dirette all’avatar che si affiancano a quelle della persona. Mercati composti da piattaforme anche di 300 milioni di utenti, come il caso di Roblox, o di Second Life, con 56 milioni di utenti, il cui 10% è composto da una élite di content creator (credo sia la più grande concentrazione di creativi all’interno di una singola piattaforma) che crea un PIL di oltre settecento milioni di dollari.

Il mercato dell’immateriale e il mercato materiale sono immancabilmente ibridati, si intrecciano e si configurano declinandosi in varie forme a seconda delle tecnologie e delle risorse disponibili delle tante piattaforme che oggi popolano l’ambito di quello che possiamo chiamare globalmente “Spatial Computing”.

Il mercato materiale viene sempre dopo il mercato immateriale

Va ricordato ora un assioma per me fondante: l’ibridazione dei mercati materiali è la conseguenza della qualità dei mercati immateriali, e non viceversa.

Storicamente, quando i brand reali entrarono nel metaverso all’alba del 2008, fallirono il loro obiettivo per diversi motivi, ma sostanzialmente perché fallirono le loro politiche commerciali e comunicative nei confronti di una economia di piattaforma di marchi nativi che erano molto più competitivi, molto più veloci, molto più integrati nelle dinamiche sociali interne, molto più consapevoli delle code authority e dell’etica che le governano (intesi come role play e role game).

Entrarono da colonizzatori e ne uscirono sconfitti.

Fortunatamente esiste qualche esempio (raro) ma potentissimo di ibridazione di mercati nati nel virtuale e trasferiti nel reale e, non a caso, viene dall’ambito della simulazione, l’ambito di ibridazione più spinta fra reale e virtuale.

Uno piccolo ma significativo è Fishing Planet, simulatore di pesca realizzato in Ucraina, che ha aperto un e-commerce di attrezzature sportive.

L’altro, veramente eclatante, viene dal mondo del Motorsport, in cui Fanatec, azienda tedesca produttrice di dispositivi hardware per la simulazione di guida, e Assetto Corsa Competizione, azienda italiana che produce un software di simulazione, sono gli sponsor ufficiali del GT World Challenge, la principale competizione per le vetture Gran Turismo, ruolo che prima era del colosso svizzero del lusso Blancpain.

Un altro esempio di e-sport diventato “reale” è Virtual Regatta, gioco di simulazione velico diventato sponsor della Transat Jaques Vabre, una regata transoceanica fra Europa e America.

Bisogna anche dire che questi esempi sono a latere della questione, non sono esattamente il risultato di una economia “specie specifica” di merci immateriali del metaverso ma sono parte del consolidatissimo mercato del videogame, e dunque di una economia di piattaforma: sono aziende che vendono esperienze digitali.

Ma la strada dell’ibridazione o, meglio, del travaso da virtuale a reale, è quella: una potente piattaforma virtuale sociale genera necessità immaginarie che rispecchiano la realtà.

Photo by Melusina Parkin

Quattro perché (più uno) sui mercati di piattaforma

Se il mercato immateriale esiste e le piattaforme producono ricchezza per i suoi partecipanti, perché non si vede?

Perché i mercati di piattaforma sono mercati endogeni alle piattaforme in cui prosperano.

Perché le merci immateriali non occupano spazio sugli scaffali, non si trovano nei centri commerciali. Sono un bene di consumo di puro desiderio, sono fatti della stessa materia dei sogni, anche se si pagano come merci reali.

Perché sono mercati verticali, connotati con consumatori e utenti di culture specifiche. I mercati immateriali sono principalmente mercati a coda lunga, tantissimi prodotti in vendita supportano vendite unitarie ridotte, benché esistano casi contrari, di veri fenomeni di massa (sempre di nicchia).

Perché sono mercati User Generated Content. Non mi stancherò mai di ripeterlo: i metaversi di successo sono quelli che attraggono i creativi, offrono risorse tecnologiche stabili e utilizzabili, permettono una economia di mercato libera e concorrenziale, un sistema di transazione affidabile e una governance chiara.

I mercati UCG sono bottom-up, richiedono competenze, visioni e creatività. I brand che nascono e prosperano sono quelli che realizzano prodotti di qualità e sanno a chi si rivolgono.

Il metaverso non è il sostituto del web

Per lungo tempo ho pensato che il metaverso dovesse essere nel paradigma evolutivo il diretto discendente del web.

Ma del web, per come lo intendiamo oggi, ovvero una complessa e articolata rete di computer dialoganti fra loro attraverso globali e universalmente condivisi (protetti e controllati da un consorzio internazionale) protocolli di comunicazione, il metaverso pare prenda le distanze.

Sia tecnologicamente, poiché ancora procede per balzi evolutivi e generazioni di tecnologie ancora (e forse per sempre o per lungo tempo) incompatibili e dettate da esigenze e filosofie progettuali ricche di diversità e finalità, sia, e qui sta la novità, ontologicamente.

Sono giunto alla conclusione che il progetto e gli obiettivi del metaverso siano di principio diversi da quelli del web. E questo per ragioni non tecnologiche, ma culturali.

Mentre il primo ha una natura ecumenica e inclusiva, ha generato il suo successo sulla sua neutralità (la Net Neutrality e uno dei fondamenti della rete) rispetto ai contenuti che veicola, il metaverso pare prendere la direzione esattamente opposta, legando intimamente le tecnologie alle forme culturali dei contenuti che veicola.

Probabilmente per questo i modelli di integrazione e di universalismo del web che hanno ispirato le filosofie progettuali di Zuckerberg per Meta/Horizon, così come le tecno-utopie di molti visionari tecnofili, non hanno mai fatto presa.

Volendo fare un paragone con modelli economici che pongono al centro del proprio business i contenuti, quello che a mio parere si avvicina di più al metaverso moderno è un modello narrativo/culturale preesistente alle tecnologie come quello sviluppato nell’ambito delle serial comics, il Marvel Cinematic Universe, MCU.

Seguendo questo modello, il metaverso dal punto di vista del marketing si potrebbe configurare come una colossale piattaforma di media franchise (metaverso è un marchio che pare essere fatto apposta per essere sfruttato per diversi prodotti e contenuti), formato da universi di contenuti narrativi, ognuno dei quali ha forme autonome di senso, con una propria estetica e narrazione.

Non mi dilungo qui sul lato tecnologico; ogni universo utilizzerà i dispositivi e le tecnologie che serviranno alle culture che lo popolano per creare i propri contenuti.

Conservando sempre al centro della nostra riflessione il contenuto, risulta evidente che il metaverso si configura come un insieme di numerose e autonome subculture che, esprimendo valori e pratiche proprie e originali, influenzano direttamente sia le tecnologie che le forme di rappresentazione, sia i mercati interni costituiti da creatori di contenuti e consumatori di contenuti/prodotti immateriali.

Photo by Melusina Parkin

Generative XR. Il nuovo paradigma del nuovo paradigma

Ma non è finita qui. Nella favola tecnologica, la frase “e tutti vissero felici e contenti” non chiude mai la narrazione. È una storia Perpetual Beta, che prevede una continua rigenerazione. E di questa rigenerazione è parte integrante l’intelligenza artificiale che porta il metaverso nella interazione con il reale a un ulteriore livello di integrazione.

Direi però che la vera novità consiste nell’evoluzione non tanto del creato, quanto del creatore. Quello che si sta rivoluzionando è proprio la figura del creativo: è lui che dalla interazione con la IA si sta evolvendo.

Questo precede l’evoluzione che la IA ha non solo sui modi della produzione, ma sui consumatori e i loro desideri e dunque lo sviluppo di prodotti materiali e immateriali potentemente intrecciati.

Non so cosa comporterà, non esprimo giudizi, ma certo se già è necessario sfrondare la discussione sul mercato del metaverso da rappresentazioni favolistiche dettate dalla scarsissima frequentazione degli addetti ai lavori della realtà irreale, è ancora più necessario con il nuovo paradigma IA generativo seguire un principio di realtà.

Già oggi parole feticcio come “immersività”, “esperienza” fanno sfracelli, a mio parere.

La cautela è necessaria, ma non la prudenza. In questo mare, per imparare a nuotare ci si deve buttare.

Quello che però possiamo rilevare è come l’emersione di aspetti culturali ed estetici innovativi stiano influenzando la produzione di creatività (e dunque di merci e prodotti immateriali), portandoci a riflettere sul passaggio alla creazione di prodotti immateriali ridefiniti dalla AI.

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